Il tramonto, l’ora avvolgente in cui per un attimo, ai più ricettivi, appare tutto più in sintonia, con la sensazione di infiniti misteri
Ogni sera, all’ora del tramonto, mi siedo al grande tavolo dell’esistenza e respiro i colori che il cielo mi offre in quell’ora così tenera, in quei minuti in cui il giorno muore. Poi prendo il mio taccuino. Lascio andare tutto – tensioni, illusioni, gli uragani che a volte i pensieri portano come tsunami e perdo i miei argini.
Ho sempre amato il crepuscolo, l’ora blu, quegli attimi che precedono il sorgere del sole e quel momento in cui il sole dardeggia colorando ogni cosa, al tramonto, in maniera avvolgente e morbida.
Non lo sfavillare del “demone meridiano”, quando la bestia sferra il suo attacco, nell’opprimente ora panica. Non quella parte descritta da Joseph Conrad nel mirabile Cuore di Tenebra in cui scrive: “Risalire quel fiume era come compiere un viaggio indietro nel tempo, ai primordi del mondo, quando la vegetazione spadroneggiava sulla terra e i grandi alberi erano sovrani. Un corso d’acqua vuoto, un silenzio assoluto, una foresta impenetrabile; l’aria calda, spessa, greve, immota. Non c’era gioia nello splendere del sole. Deserte, le lunghe distese d’acqua si perdevano nell’oscurità di adombrate distanze”.
Quanto piuttosto quando “visionario” come pochi afferma: “Eravamo in vena di meditazioni, a nient’altro disposti che a una placida contemplazione. Il giorno finiva in una serenità di calmo e squisito splendore. L’acqua scintillava pacifica; il cielo, senza macchia, era una benigna immensità di luce pura; sulle paludi dell’Essex, la foschia stessa era come una garza trasparente e radiosa che, impigliata ai pendii boscosi dell’interno, drappeggiava le sponde basse nelle sue pieghe diafane.
Solo l’oscurità a ponente, che incombeva sui tratti superiori del fiume, diventava sempre più tetra, come irritata dall’avvicinarsi del sole. E infine, nella sua caduta obliqua e impercettibile, il sole toccò l’orizzonte e dal bianco incandescente passò a un rosso opaco, senza raggi e senza calore, come stesse per spegnersi all’improvviso, colpito a morte al contatto di quella oscurità che incombeva sopra una moltitudine di uomini.
Anche sull’acqua ci fu un cambiamento repentino, e la serenità si fece meno brillante, ma più profonda. Il vecchio fiume riposava imperturbato al declinare del giorno, dopo secoli di onorato servizio reso alla razza che popolava le sue rive, disteso nella tranquilla dignità di una via che conduce ai confini più remoti della terra. Guardavamo quel venerabile corso d’acqua non nella passeggera vampata di un giorno che compare e poi scompare per sempre, ma nell’augusta luce dei ricordi duraturi”.
No, il tramonto e il crepuscolo, quegli istanti profumati di eternità, come nel film Lady Hawke, dove uomini, prigionieri di un incantesimo, appaiono più “vicini” per una scheggia di vita, senza più guerre, né infamità. L’augusta luce dei ricordi duraturi. Gli orli si stracciano, i punti si dissolvono e gli sguardi acquistano significato. Tutto in quell’attimo dove forse ogni aspirazione umana trova pace, rendendoci in un sospiro tutti fratelli.