Giorgio Ricci, viaggiatore e scrittore, è persona di straordinaria sensibilità. Autore di diversi libri, riesce a “incarnare” quella metafisica del viaggio che coincide con una visione del mondo particolarmente stimolante dove mette insieme, tra scritti e percorsi nel mondo, strade, fiori e noir. Vediamo come.
Ho raccontato di Giorgio Ricci e di Cristina, sua moglie, qualche tempo fa. Dei loro quindici giorni on the road, tra trasferimenti improbabili e pernottando nelle ormai celebri casas particulares di sei importanti città, ognuna indimenticabile alla sua maniera: L’Avana, Cienfuegos, Trinidad, Remedios, Camaguey e Santiago de Cuba.
Cuba? No problema! Giorgio Ricci e sua moglie Cristina partono per Cuba, un viaggio da tempo desiderato, un’esperienza fortemente voluta. Un libro che racconta quindici giorni on the road di Giorgio Ricci in compagnia della moglie Cristina.

L’esperienza di alloggiare nelle case private permette loro di conoscere più a fondo il tessuto sociale e la vita dei quartieri popolari e di ritrovarsi a stretto contatto con la cortesia e la disponibilità della gente cubana. Con una scoperta: Cuba rimane fedele a se stessa, nonostante i peripli del mondo.
In questa intervista, Giorgio Ricci spiega a Scrittore In Cammino delle sue “evoluzioni intellettuali” e di viaggiatore dal senso profondo “dell’essere” che lo fa andare avanti con quella dose di sano ottimismo che fa bene a chiunque voglia continuare a sognare “sulle orme di Bruce Chatwin“.
Chi è Giorgio Ricci?
Sono nato ad Alessandria l’11 giugno 1960 e ho sempre vissuto a Valenza (AL) a parte una parentesi di 8 anni a Tortona (AL). Commerciante di pietre preziose prima e titolare poi, con mia moglie, di una yogurteria/creperia.

Attualmente in attesa paziente e fiduciosa di pensione, nel frattempo scrivo. Appassionato di fotografia e di viaggi, mi avvicino alla scrittura una quindicina di anni fa.
Partiamo dalle tue “soddisfazioni recenti”
Nel marzo 2022 esce, edito da La Caravella Editrice, Il Canto Dei Corvi, un puro diario di viaggio che racconta un’esperienza indiana mia e di mia moglie Cristina fatta nel 2011. Ho scritto puro in quanto gli ho dato un vestito piuttosto scarno, essenziale, senza tanti fronzoli o voli pindarici.

Quattro settimane a zonzo nel Tamil Nadu, lo stato più meridionale del subcontinente indiano, con lo scopo primario di incontrare una bambina e una ragazza adottate tramite l’Assefa, organizzazione che si occupa appunto di adozioni a distanza nel sud dell’India, permettendo a questi bambini di accedere all’istruzione per almeno otto anni e a una vita degna di cui, altrimenti, non potrebbero godere.
In realtà l’incontro con Keerthika e Selvi si risolse in alcune ore a testa all’interno di una giornata indimenticabile, e furono molto emozionanti, commoventi e formative.
Il Canto dei Corvi, raccontacelo nel dettaglio
Il libro è diviso in 4 parti (L’Incontro – Due Treni Per Il Mare – L’Ambassador Bianca – Turisti O Viaggiatori?) e ogni piccolo capitolo dei 28 totali racconta un giorno vissuto nel rutilante e a volte incomprensibile mondo indiano. A metà testo ci sono alcune foto in bianco e nero scattate dall’autore.

Sono molto legato a questo libro, che forse, uscendo troppo a ridosso del precedente Cuba? No Problema! (solo 9 mesi dopo), è stato in qualche modo bruciato ed è passato in sordina, ma chi l’ha letto dichiara che si è ritrovato a camminare con noi per le città, i villaggi, i mercati, le scuole, a viaggiare con noi sui treni, sui tuk tuk, sull’Ambassador dell’autista amico Murugan, a sentire gli odori e i gusti durante il nostro peregrinare. Mi dico anche che un libro è per sempre, per cui troverà i suoi spazi in seguito.

E poi?
Un mese dopo l’uscita de Il Canto Dei Corvi ho avuto una sorta di illuminazione. In realtà da tempo mi chiedevo come mai non riuscissi a scrivere storie, personaggi, trame di fantasia e se il mondo della mia scrittura riuscisse solamente ad attingere ai ricordi, a una Moleskine, alle fotografie scattate, ai viaggi, quindi a qualcosa di fortemente autobiografico.

Arriviamo a Il Glicine e a Ci penseranno i fiori…
A metà aprile, osservando il viola e i petali di un glicine che aveva accerchiato, risalito, conquistato, impadronendosi in pratica di un grande albero vicino, mi è arrivata tra le dita la storia di un glicine che si divora un povero pensionato di nome Arturo. Ho avuto la sensazione che si rompesse un guscio.
Ho sempre amato la letteratura horror/soprannaturale/noir/thriller, e finalmente si apriva l’accesso a quello che avrei voluto sempre scrivere. Ho cominciato e finito Il Glicine, un racconto breve (se per breve s’intendono 20mila battute) in pochi giorni, e subito dopo, preso dalla smania e da un progetto che avrebbe visto la parola fine solo al termine dell’estate, altri 11 racconti, alcuni anche più lunghi, in cui i protagonisti sono i fiori nella loro accezione più crudele, maledetta, vendicativa, terrorizzante.
Il progetto, che non è altro che l’antologia di questi racconti, s’intitola Ci Penseranno I Fiori, in cui rose, viole, girasoli, orchidee, oleandri, margherite, fiori di zucca, mimose, appunto un glicine, ma anche fichi e rotoballe, diventano protagonisti o tramite per consumare vendette e giustizia sommaria, e non è detto che a cadere siano solamente i colpevoli.
Progetti “floreali” che ti hanno dato diversi riconoscimenti. Parliamo di Ortensie
Per tastare il valore di ciò che avevo scritto (e letto e riletto centinaia di volte) ho inviato un paio di questi racconti a due concorsi, e con ottimi risultati: Il Glicine ha vinto il Premio Energheia di Matera nel settembre 2022, mentre Ortensie si è classificato terzo al Premio Letterario Filippo Ivaldi di Pieve Gadesco Delmona (CR) nel maggio 2023. Ortensie da quella domenica di fine maggio, giorno della premiazione, ha imboccato una sua vita indipendente, in quanto l’organizzazione del concorso stampa 100 copie per ognuno dei racconti classificati ai primi tre posti, 100 copie che vengono consegnate tra le mani emozionate degli autori.

Ortensie ha il suo numero Isbn, i diritti sono rimasti in mio possesso, è sugli scaffali (per ora) di due librerie, la Mondadori Bookstore di Valenza e la Ubik-I Girasoli di Tortona (dove vivo e dove ho vissuto), ed è diventato a tutti gli effetti un libro, nonostante la sua natura di racconto lungo e non di romanzo (40 pagine circa).
Sono felice, oltre che per il premio, che abbia conosciuto un destino simile, perché ha qualcosa di più (e altro di meno), ma comunque di molto diverso rispetto agli altri 11 racconti: è più tenero, a mio parere molto emozionante e commovente (quanto ho pianto scrivendolo!), una storia in cui ho cercato, speranzoso, di esplorare il mondo dell’aldilà, protagonisti Eleonora e Giobbe, entrambi di 8 anni, che oramai hanno assunto una forma reale, quasi fossero diventati miei figli (la forza della scrittura!). Giusto e bello che Ortensie abbia trovato la sua collocazione: è un libro, seppur piccolo, che ha ricevuto ottime recensioni soprattutto da parte delle lettrici.

E gli altri 11 racconti di Ci Penseranno I Fiori?
A inizio giugno ho inviato il manoscritto a una ventina di case editrici, ricevendo già nel giro di un mese alcune proposte. Ho scelto quella più seria e più dinamica, e sto correggendo proprio in questi giorni la prima bozza. Credo vedrà la luce in settembre, e sono molto emozionato perché si tratta, per la prima volta, dell’interesse di una casa editrice per qualcosa che è frutto della mia fantasia e non del mio vissuto, anche se porterò per sempre nel cuore i miei meravigliosi viaggi e i libri che ne parlano.
Veniamo agli altri tuoi libri, tante attività, tra cui la passione per la fotografia. Cuba? No problema! Che esperienza è stata e come è nata l’idea di un viaggio a Cuba in compagnia di sua moglie Cristina?
Gli altri libri pubblicati sono: Sette Autisti Un’Automobile Indiana edito da Greco e Greco nel 2009, Cieli Azzurri edito da Progetto Cultura nel 2012 e Cuba? No Problema! edito da Ciost Edizioni nel 2021.
Il primo dopo una fantastica esperienza di viaggio in India in solitaria durata 42 giorni e corredato da mie fotografie. Il secondo stimolato da due racconti premiati in due anni diversi al Concorso Energheia di Matera: premio speciale della giuria al racconto Dauphine (2009) e primo premio assoluto al racconto L’Albero Capovolto (2010).
Questi due, insieme ad altri 22, compongono la raccolta di racconti, sostanzialmente di viaggio, anche se proprio L’Albero Capovolto, a mio parere la cosa più bella che abbia mai scritto, non può essere annoverata tra la narrativa di viaggio.
E veniamo a Cuba? No Problema! che racconta un viaggio fatto con mia moglie dal 16 febbraio al 10 marzo 2020, e già queste date ci dicono qualcosa. Conoscere Cuba ‘prima che fosse troppo tardi’ era un desiderio che covavamo da tempo, e la fine dell’esperienza professionale tortonese ci ha detto che era giunto il momento.

È stata un’esperienza particolare e dalle mille sfaccettature, non tutte positive, vuoi per le notizie sempre più allarmanti che giungevano dall’Italia, vuoi per un’influenza fatta da entrambi che chissà se era solo influenza, vuoi per la povertà in cui versa la maggiorparte della popolazione. Cuba ci è piaciuta comunque tantissimo.
Cuba? No Problema! Voi avete optato per le Casas particulares. Che tessuto sociale avete trovato, raccontiamo il rapporto con le genti caraibiche, cosa vi ha più colpito, che quartieri avete trovato?
Abbiamo optato per le Casas Particulares proprio per vivere da vicino la realtà dei quartieri e della gente ‘normale’ quindi lontano dagli hotel patinati e impersonali. Ed è stato vincente!
Abbiamo conosciuto persone fantastiche sempre pronte ad aiutarci e a rendere il nostro pernottamento il più confortevole possibile. Rientrare a casa alla sera camminando nei quartieri popolari, silenziosi e tranquilli, vedere come si prodigavano nel prepararci colazioni abbondanti nonostante l’embargo e la difficoltà a reperire prodotti di prima necessità, scoprire la rete di conoscenze tra casa e casa e tra casa e tassisti... beh, tutto questo è stata la scelta migliore che potessimo fare.

Purtroppo le file davanti ai supermercati, gli empori con gli scaffali vuoti, la gente con uno sguardo che troppo spesso sconfinava nel mesto, ci hanno dato un’idea di Cuba inaspettata, non danzante e allegra e colorata come ci attendevamo, ma più malinconica, in cui l’embargo statunitense detta il passo. Cuba dà un’idea di nazione che dipende sempre dalle bizze di qualcun altro, blocco sovietico prima, presidenti americani dopo. Non si trovano nemmeno le medicine nelle farmacie, e questo la dice tutta.
Avete fatto “on the road” per 15 giorni: come vi siete mossi, quali città avete visitato e quale vi ha più affascinato e quale meno e per quali motivi?
On the road per 15 giorni spostandoci con taxi collettivi oppure privati e una volta su un bus della Viazul. I taxi potevano essere auto d’epoca americane sessantenni oppure, purtroppo, moderne auto coreane.
La durata dalle due alle quattro ore, molto più lunga quella sul bus. Abbiamo visitato 6 città. L’Avana che non ci ha certo deluso, soprattutto nella sua parte più celebre, Habana Vieja, con la sua atmosfera coloniale indimenticabile, le sue piazze, le sue chiese, i suoi palazzi bellissimi e i famosi locali frequentati da Hemingway, poi con il Malecon, percorso dalle auto americane anni ’50, scintillanti e splendide. Quattro notti e tre giorni pieni sono però insufficienti, prima o poi torneremo!
Cienfuegos è stata una bellissima sorpresa, con una baia che si insinua profonda, una piazza splendida e un’atmosfera molto sudista.Trinidad vale da sola il viaggio perché camminando tra le via acciotolate su cui si affacciano basse casette colorate si ha la sensazione di vivere nei secoli addietro. Transitano carretti trainati da pigri cavalli e tutto si muove lento, addormentato. A pochissimi chilometri la bianca spiaggia di Ancon da un assaggio di Caraibi.
Remedios è una Trinidad in miniatura, il tempo ancora più cristallizzato in un’era passata. Grande tranquillità, scene di una vita che sembra provenire da un’Italia dell’immediato dopoguerra.

Camaguey è stata una parziale delusione data dalle aspettative troppo ottimistiche e dal meteo sfavorevole che ha reso il tutto molto grigio. Santiago de Cuba è la tipica città del sud, patria dei balli cubani ed ex capitale però, a parte i dintorni (una fortezza a picco sul mare) e il cimitero in cui è sepolto Fidel (con tanto di cambio della guardia ogni 30 minuti) il resto ci ha un po’ deluso: troppe cose non curate, quasi dimenticate, e una certa malinconia di fondo.
Poi sono seguiti 8 giorni al mare di Guardalavaca, raccontati nel libro a spezzoni come prologo di ogni parte del viaggio on the road.
Quali paesaggi vi hanno più “impressionato”?
La spiaggia di Guardalavaca è molto bella, il paesaggio tra una città e l’altra piuttosto normale, ritorniamo quindi alle città, alle loro bellezze coloniali, alle chiese, ai ricchi palazzi di un tempo e, fiore all’occhiello, alle incredibili American Classic Car più vecchie ma più in forma del sottoscritto.
Sei stato finalista al Premio Chatwin, icona del viaggiatore: cosa significa per lei viaggiare e se è ancora possibile farlo da viaggiatori e non da turisti?
Per me viaggiare significa sognare. E vale quando comincio a studiare una cartina come quando scrivo la prima parola di un manoscritto. In mezzo c’è il viaggio vero e proprio, che non è detto sia quello che più rimane dentro.
Viaggiare è prepararsi a una partenza, viaggiare è raccontare dopo l’arrivo. Viaggiatore e turista? Mi trovo in difficoltà a rispondere decentemente. Spesso le due figure si sovrappongono, ma se per viaggiatore si intende pernottare in una casa particular cubana o immergersi in una stazione ferroviaria indiana, fotografare e perdere il senso del tempo… allora sì, sono un viaggiatore.
Quali progetti avete per i prossimi mesi, state pensando a qualche viaggio in particolare?
Io e mia moglie preferiamo, per i viaggi, sognare in grande, fosse anche a lungo termine. Mi viene in mente il Camino de Santiago a piedi (tutto, quindi in 30 o 40 giorni non so, quel che ci vorrà dai!), poi un lungo viaggio tra le isole del nostro cuore, quelle greche, poi un ritorno nella nazione più bella del mondo, l’India, perché 6 volte dal 2001 al 2013 non ci sono bastate… altro che mal d’Africa!

Potrei aggiungere Patagonia, Vietnam, Sri Lanka, ma ho come la sensazione che l’attuale situazione mondiale e gli anni che passano troppo in fretta rendano questi desideri di difficile attuazione (almeno non tutti, via!).
Per finire?
Per finire: dopo il progetto floreale ho continuato a scrivere altri racconti, in cui sono protagonisti la solitudine, certi disagi famigliari, alcune ossessioni; in essi non compare il soprannaturale ma qualcosa di angosciante, sospeso, inquietante, che avvengano delitti oppure no. Si vedrà, non corriamo troppo, lasciamoli maturare. Intanto uno di questi racconti, dal titolo Rane, lo scorso giugno si è classificato secondo al concorso Il Cammello Racconta di Nichelino (TO) e lo prendo come ottimo auspicio.
Gli aneddoti? Mi limito alla mia esperienza di scrittore, al prossimo libro che uscirà (primavera 2022?) che racconta un viaggio indiano nel Tamil Nadu fatto nel 2011 con mia moglie, quando incontrammo una bimba e una ragazza adottate a distanza e poi vagammo felici in quella parte del sub continente.